Profilo di un grassatore d'ancien régime: Arrigo Gabertinga



di Alberto Natale



L'ansia per l'incolumità personale non è certo una prerogativa esclusiva dei nostri tempi. Nell'epoca della popolation flottante, nella società pullulante di incerti e vagabondi mestieri che richiedevano una migrazione permanente di luogo in luogo, nelle strade percorse da colonne di pellegrini armati di bisacce e bordoni, tra profughi che tentavano miglior fortuna in altre contrade e avventurieri di necessità o di vocazione, la strada era il luogo dove la paura si manifestava in modo conclamato.
L'intera categoria criminale degli "assassini di strada" poteva, dopotutto, considerarsi alla stregua di una corporazione anch'essa composta di viandanti, sovente mossi da passo affrettato ("scorridori"), predatori efficienti e sanguinari, riconoscibili spesso a prima vista.
Nella letteratura sensazionalista di quei tempi la differenza tra uomini e predoni non si costituiva pertanto a partire dal ruolo, ma dall'appartenenza a un habitat. La frattura era rappresentata nello schema conflittuale città/campagna, luoghi abitati e selve, all'interno di un territorio che presentava caratteristiche antitetiche rispetto a quello odierno, in uno scenario che vedeva borghi e villaggi come fragili avamposti della civiltà davanti all'ostile vastità del mondo selvatico, abitato da creature ferine e diaboliche.
La facies del predone è, già per se stessa, lo specchio dei vizi dell'anima e l'indizio dell'infernale provenienza "dalla villa incivile e selvaggia, popolata da sinistri homines sylvestres".
Arrigo Gabertinga, "villano maladetto", "inumano", "perfido", "crudele "assassino di viandanti,

avea il naso ammaccato, largo e torto,
gli occhi piccini, larghi, scarpellati,
gli orecchi grandi assai, di vita corto,
i denti lunghi, grossi e cavalcati:
la bocca larga e pallida da morto,
la fronte bassa e gli stinchi inarcati;
la barba rada, il pel negro appannato:
tutto diforme brutto e disgraziato.1

Animalità e bruttezza: regredito alla condizione selvatica e bestiale l'uomo sembra riconoscere e far proprie le sue ancestrali radici per riapparire, con le sembianze di un mostro scaturito dalle viscere della terra e covato nell'oscurità delle selve, in tutta la sua demonica presenza ipogea, trasformato in essere spettrale e deforme - come si diceva che fossero tutti i villani. Anche il Gabertinga, al pari di molti altri 'devianti', si svelò al mondo molto presto; già dalla nascita incubava il male trasformando in fiele il latte materno e, "fin da fanciullo", "maligno", "crudele" e "malandrino", il "ribaldaccio sciagurato" rese presto palese la sua futura inclinazione. I suoi coetanei "fuggivan d'accordo il fiero aspetto", "perché di mal trattarli eran suoi spassi,/ con ferri, con bastoni, pugni e sassi".
Ma la feroce indole aggressiva di Arrigo emerse in tutta la sua gravità sociale quando, avviato dal padre al lavoro presso una bottega di maniscalco, a seguito di una lite "spezzò la testa",2 con un martello, al padrone che aveva avuto l'ardire di assumere un garzone così "maligno".
Allontanato, scacciato e vilipeso dal civile consorzio, mosso da furia rancorosa il reietto regredisce allo stato ferino

la collera lo rode et ei si lagna
bestemmiando la terra, il mare, il mondo
giurò di farsi sempre a la campagna
un assassino fiero e furibondo.3

In conformità alla sua mutata natura il "malandrino" stabilisce il proprio quartier generale su

...una montagna aspra et alzata,
che per angusto calle si camina,
piena di macchie, sterpi, ruffi e sassi,
alta poi, che parea che'l ciel toccasse.4

Ha per casa "una spelonca" e per compagno "un cane inglese smisurato" addestrato all'assalto che "con fiero e inviperito dente / mordeva, fracassando fieramente".5 Un degno aiutante per Arrigo che

calando il monte sempre a la foresta
rubbava et uccideva i viandanti:
nascosto in una macchia di ginestra
con spada et archibugio e cane avanti
e due pistole a cinta, quai le tira
sì giuste e ben che mai falliva mira.6

Inoltre, affinché il cane "meglio si avvezzasse" in abitudini "più fiere, e crude e strane", "non volse che altro cibo mai mangiasse / che de gli uccisi sol le carni humane".7
Le truci immagini con cui il pittore-poeta Briccio mostrava ai contemporanei le truculente imprese del "crudo" e furioso Arrigo, sembrano trarre la necessaria materia che le rendeva plausibili proprio dal loro truce 'realismo'. I resoconti giornalistici di cronaca nera attuali non si comportano in maniera poi molto diversa: una "teca cranica sfondata" è garanzia di verità molto più del fatto che tale assicurazione provenga da una fonte autorevole.
Può così risultare perfettamente coerente che "semplicisti et erbaroli", "viandanti e legnaroli", "donne", "vecchie", "giovani", "bambini", "frati", "eremiti e pellegrini", fino al numero esorbitante e cinicamente contabile di novecentosessantaquattro, cadano vittime del "furore" del villano mostruoso, il quale "se gli parea, scendeva a basso / di lor facendo macello e fracasso"; persone semplici, ignare, dedite ad attività umili e legittime, che "provorno di sua man gli ultimi duoli"8 e in cui il povero e 'innocente' lettore non poteva non identificarsi, ruminando paurosi pensieri, attendendo con ansia la catarsi nella descrizione della pena inflitta ad un simile flagello del genere umano. Il 'lieto fine' era rappresentato nelle relazioni di questo genere, dalla compiaciuta descrizione della cattura, condanna e scempio del tristo, che rovinava sotto il peso delle sue colpe, additato dall'occhiuta sorveglianza divina ormai "stanca di sopportare l'enormità dei suoi crimini" che si decide a por fine agli "eccessi" e a consegnarlo alla vedicativa giustizia degli uomini.


Note

1 - La sciagurata vita di Arrigo Gabertinga assassino di strada: il quale ha ammazzato un infinito numero di persone, con i suoi figliuoli, nel territorio di Trento. Posto in ottava rima da Giovanni Briccio Romano ad essempio de i tristi, in Milano, in Genova, in Pisa, in Firenze et in Todi, appresso Aniballe Alvigi, 1625, c. 2 r. La "crudel historia" del bandito è analizzata da Piero Camporesi in La maschera di Bertoldo, Torino, Einaudi, 1976, p.43 e passim.
2 - La sciagurata vita di Arrigo Gabertinga..., cit., c. 2 v.
3 - Ibidem, c. 3 r.
4 - Ibidem, c. 3 v.
5 - Ibidem, c. 3 v.
6 - Ibidem, c. 3 v.
7 - Ibidem, c. 4 r.
8 - Ibidem, c. 4 r. e v.


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