La nascita di un nuovo genere

Il sensazionale e il prodigioso all'inizio dell'età moderna


di Alberto Natale



Nella letteratura di consumo - verso la fine del Cinquecento - accanto alle produzioni popolari e popolareggianti già in uso, cominciò a delinearsi una produzione letteraria che configurava un genere dominato dalla febbre del sensazionale, dell'insolito, un mare cartaceo in cui si affollavano truci assassini e mostri prodigiosi, dove si parlava di catastrofi, di comete, di fenomeni impossibili, di vicende che facevano rizzare i capelli in testa.
Anche il patrimonio di notizie, novità, "relazioni" e "ragguagli" fu calibrato, nella diffusione a stampa, pensando a pubblici diversi: le informazioni che vennero smerciate alla maggioranza degli illetterati e "ignoranti" acquirenti non furono certo quelle destinate a confluire, di lì a poco, nelle "gazzette" e nella prima stampa periodica; i fatti di cui i ceti popolari vennero a conoscenza riguardavano ciò che si supponeva fosse il loro gusto prevalente: ciò che destava stupore e sensazione, che esorbitava dal quotidiano, dall'ambito del consueto.
Sono gli stampatori a rivestire il ruolo principale nella vita di questo genere di letteratura, quella dei fogli popolari che parlano del 'meraviglioso', inteso come pluralità semantica evocante nello stesso tempo il raccapriccio, la compassione, lo stupore, lo straordinario e il prodigio. Nel lessico d'epoca l'efferatezza del crimine, l'apparizione mostruosa e la catastrofe hanno lo stesso predicato: le vicende a cui si riferiscono contengono insegnamenti comuni e suscitano sentimenti della stessa specie; sono "stupendissimi eventi" che mirano a provocare "straordinaria meraviglia e terrore a chiunque legge", "ammirandi prodigi", appunto, fatti a cui si guarda. Oltre a far gemere i torchi, i tipografi diventavano spesso editori, si occupavano della stesura, della traduzione e rielaborazione dei testi, della vendita a banco: doveva essere oneroso e dispersivo dividersi all'interno di un'attività, che oggi richiede almeno cinque diverse figure professionali - con relative funzioni - nell'ambito della produzione libraria (considerando anche la moderna "distribuzione"), ma si trattava di competenze e fatiche difficilmente evitabili nel duro regime del mestiere tipografico, soprattutto nell'arco di tempo, che volge dalla fine del Cinquecento alla prima metà del XVIII secolo.
Nel mondo dell'attualità l'attenzione si sposta automaticamente sul 'fatto', sui protagonisti della vicenda: l'evento non è certo opera di autore bensì una circostanza, limitata nello spazio e nel tempo, che chiede soltanto di essere "osservata", descritta, raccontata e cioè 'fissata' per poter circolare. Ciò non significa che i resoconti siano inalterabili e si vedrà anzi attraverso quanti sotterfugi fosse possibile falsificarli. Resta il fatto che per quanto fittizia, favolosa o del tutto inventata, la notizia rimane materiale che circola servendosi di più canali, attraverso la scrittura (e poi la carta stampata), ma anche e soprattutto grazie alla trasmissione orale.
Erano vicende alle quali si poteva credere, non credere, fingere di credere, ma alla cui pubblicità era difficile non partecipare. Ci si poteva ergere contro le opinioni e la credulità, stimandole chiacchiere di gente "roza" e "materiale": tuttavia ciò significava essersi già imbattuti nella notizia, nella diceria, nella voce, aver già assunto un ruolo nell'interscambio orale. Si potevano schernire i "compilatori delle cose maravigliose" ritenendoli responsabili (a ragion veduta) di "spargere...menzogna" nel senso comune; ci si affrettava però subito a stampare un nuovo resoconto, non sempre più veritiero di quello che si voleva screditare.
Vi era chi non mancava di sorridere davanti alle "invenzioni", alle "nove inventate" "da belli ingegni per toccar monete", sottolineando che il proprio intento era di dare alle stampe una "relazione più d'ogni altra in qual si sia sua parte veridica"; ma ciò che essi pubblicavano appariva ugualmente sospetto e non verificabile, e le loro fonti ricordavano quelle dei mistificatori. La condizione di anonimato dell'autore si presenta pertanto motivata da ragioni diverse, che vanno dalle caratteristiche di autonomia della notizia, al desiderio di non esporsi, inutilmente, alla contestazione, al dileggio, magari allo scandalo. È probabile infatti che nomi di spicco si celassero dietro i "maravigliosi ragguagli", confusi nella folla dei "poligrafi" e degli "avventurieri della penna" pronti a vendere a chiunque l'unica risorsa di cui disponevano: saper scrivere.
Più semplice era il reperimento delle notizie sulla vita e le gesta dei banditi in quanto il bando veniva fornito direttamente dalle autorità della giustizia secolare e poteva in seguito essere usato a piacimento, ampliandolo e arricchendolo di novità. La dinastia di stampatori veneziani dei Pinelli fu una di quelle che maggiormente si segnalò per questo genere di pubblicazioni.
La vigilanza del potere pubblico e religioso venne accrescendosi col tempo e condizionò enormemente questo genere di produzione, di cui si seppe valutare l'efficacia come strumento di propaganda: autorità cittadine, vescovi e sovrani furono inizialmente solo committenti, ma progressivamente estesero la loro influenza sulle officine dei tipografi, divenendo anche "finanziatori o protettori dell'impresa" attraverso il sistema dei privilegi, dei permessi di stampa e della censura.
Gli stampatori trovarono sempre più conveniente pubblicare ciò che non presentava rischio editoriale, nei confronti della censura e della vendita; le "relazioni", i "ragguagli", gli "avvisi", proprio perché materiali adatti alla propaganda dei poteri, si prestavano molto bene ai loro scopi.
È probabile che sia esagerato ritenere che i "compilatori di cose maravigliose" fossero autentici professionisti del genere: tra Sei e Settecento doveva essere problematico sostentarsi economicamente grazie ad un unico filone, per quanto redditizio, di proposta editoriale. È lecito invece parlare di un'area di produzione, che include la letteratura di consumo e la pubblicistica in genere, della quale i racconti di prodigi e di sensazionali atrocità rappresentavano una fetta cospicua, e sul cui sfruttamento editoriale vivevano le speranze di una notevole quantità di individui attratti da un povero ma vasto 'mercato' popolare.
Con queste premesse si comprende come mai gli stampatori si dessero tanto da fare per procurarsi le 'ultime novità' e perché si adoperassero di continuo in ristampe, adattamenti, traduzioni e aggiornamenti delle relazioni di cui entravano in possesso.
Molti "casi" danno l'impressione di aver circolato in tutta Europa, passando da una tipografia all'altra e di città in città. Nei frontespizi si giunge a citare perfino cinque o sei edizioni precedenti a quella ristampata, pubblicate in altrettante città italiane o europee.
Organizzati in veri e propri pools gli stampatori potevano scambiarsi con profitto questo genere di produzioni, mantenendo alto il livello di presunta "attualità" delle notizie. La stessa cosa avveniva per le tavolette xilografiche, "legni rozzi, ingenui, primordiali", che venivano impiegati con molta libertà, magari dopo essere stati impiegati in precedenti e ben diverse edizioni. A volte è possibile osservare vignette che sono state impiegate per illustrare testi pubblicati da precedenti dinastie di tipografi: una tavoletta in cui è scolpita l'effigie di un soldato armato, che sta per uccidere un uomo, e che è stata usata numerose volte come illustrazione di maniera in relazioni seicentesche di storie criminali, sembra addirittura riconducibile ad un suo primo uso durante il XV secolo.
Anche l'illustrazione partecipa dunque a quel processo di manipolazione, comune al testo, che rende il genere di letteratura in questione un prodotto di scarto o, meglio, di montaggio, al limite del bricolage.
Il costume, tanto deprecato da Carlo Gozzi, era particolarmente in uso nelle città, dove il crocicchio rappresentava il 'punto vendita' privilegiato del circuito popolare, il luogo dello "spaccio", il momento iniziale della "pubblicazione" e cioè "la messa all'incanto... dove circola una folla anonima". Le notizie venivano "gridate" perciò tra la folla, nelle piazze, nei luoghi di transito, nei pressi dei mercati, nei luoghi, in genere, della vita collettiva. I bandi di sentenze venivano diffusi prima, durante e dopo la stessa esecuzione capitale, che era pur sempre un episodio non marginale della vita sociale. La diffusione si carica perciò fin dall'inizio di una propulsione 'orale', che ne garantisce la circolazione, anche indipendentemente dalla vendita e dalla lettura.
Non è certo un caso che molti appelli ai "lettori" si risolvano in un invito ad ascoltare: "narrazione delli maravigliosi prodigi...che leggendo voi udirete", "cosa...da tutti intesa, tenuta cara e letta", "porgi l'orecchio tuo mio uditore", "uomini, donne, o sia chiunque esser si voglia, che legga o ascolti leggere", "opera degna d'esser intesa", "cosa degna da essere intesa per essempio d'ogni uno", "nuova e vera relazione...nella quale sentirete", "barbaro vero caso" che "leggendo si sente", e altre simili espressioni.
Emerge distintamente quello che è il canale principale della diffusione della notizia, del caso: la comunicazione orale, che inizia dalla voce dello strillone, circola come racconto orale da un individuo all'altro, e prosegue nella lettura ad alta voce eseguita dai pochi che sapevano leggere, a vantaggio di piccole comunità, gruppi famigliari, forse anche scolaresche di campagna.
Il momento di questa lettura collettiva poteva essere il lavoro sedentario (filatura, spannocchiatura) e, specialmente in campagna, la veglia. La vendita non era quindi un passaggio del tutto necessario: l'acquisto, con la prospettiva di una lettura solitaria, silenziosa, doveva essere almeno fino al Settecento un fatto abbastanza raro. Ciò non significa che i testi della letteratura che si sta considerando siano propri di una cultura orale: pur partecipando all'oralità, in una certa misura, fin dal momento in cui la notizia viene raccolta, ben presto essa si ferma nella scrittura per essere sfruttata come strumento di propaganda. Le storie di prodigi, di assassini e di mostri penetrano nella cultura del pubblico, diffondendosi grazie alla trasmissione orale, ma tentando di forzarne le abitudini, mutarne i meccanismi, scardinare dall'interno le resistenze a quella sorta di colonizzazione che era la parola scritta.
Significativamente gli appelli all'udito, all'ascolto, si rarefanno con l'andar del tempo: vi sono ristampe in cui tra le poche interpolazioni rispetto all'edizione precedente, compaiono modifiche che correggono gli appelli all'ascolto con inviti espliciti alla lettura.
In definitiva si può avanzare l'ipotesi che un genere letterario, così concepito e sfruttato, mirasse proprio all'uniformazione del pubblico, grazie alle trasformazioni provocate dall'alfabetizzazione e dalla stampa. Folle anonime cittadine e popolazioni rurali venivano così unite da un linguaggio sempre più simile.
La cultura di massa nasce infatti nelle città per estendersi nelle campagne: l'illetterato urbano fu la prima cavia che venne sottoposta alla spersonalizzazione violenta, all'impatto con una lingua prodotta quasi esclusivamente al di fuori della sua partecipazione diretta. Nelle campagne il processo fu più lento e il cammino dell'uniformazione incontrò più resistenze. Il materiale trasportato dagli ambulanti, dai colporteurs si mescolò, per molto tempo ancora, ad una concezione di oralità più radicata, più giustificata dalle tradizioni ancora vive, che guardavano alle trasformazioni con diffidenza, dall'alto di una concezione "frenata" dei mutamenti e del divenire.
La possibilità quasi prodigiosa con cui la stampa era in grado di moltiplicare i testi e far circolare le idee trovava ovunque entusiasti ammiratori; tra questi vi era Tommaso Garzoni, il quale elogiava, con l'ardore tipico del predicatore, il ruolo tutto positivo dell'"arte" capace di dare la "morte all'ignoranza".

Ora son fugate le tenebre dell'ignoranza affatto affatto. Ora non si può vendere bugie e dare a vedere il nero per il bianco. Ora ciascuno dà giudicio d'infinite cose, che se non fosse la stampa non potrebbe aprir la bocca per parlarne nonché giudicarle. Questa è quell'arte che fa conoscere i pazzi, che manifesta gli arroganti, che palesa i letterati, che dà morte all'ignoranza, che dà vita alla virtù e alla scienza.

è sintomatico che simili affermazioni provengano proprio da un "imperterrito plagiario" come Garzoni. Nelle sue considerazioni sul mestiere degli stampatori egli usò, infatti, alcuni passi saccheggiati dall'opera del protomedico bolognese Leonardo Fioravanti, spacciandoli come propri.
Tra "gli effetti maravigliosi della stampa", capace di "risvegliare il mondo il quale era addormentato nell'ignoranzia", bisognerebbe includere anche la maggiore facilità dell'impostura e dell'indebito impossessarsi delle idee altrui. Non era certo ciò che intendeva Fioravanti quando affermava che, grazie al "beneficio" dell'arte tipografica "nissuno può esser più gabbato, poiché ogni uno che voglia affaticarsi un poco il cervello può esser dotto"; è altresì vero che Garzoni era tra coloro che approfittavano della più ampia circolazione delle idee, favorita dalla stampa, per divenire "dotti" con poca fatica.
La stampa, oltre alla riproducibilità tecnica delle opere d'arte e d'ingegno, forniva quindi i mezzi per nuovi metodi di falsificazione. Nella letteratura dei "fatti notevoli" e prodigiosi la contraffazione delle notizie e dei resoconti è un'abitudine molto frequente, un procedimento deliberato e quasi sistematico.
Se l'anonimato in cui le relazioni nascono sembra nascondere una sorta di pudore, il momento della stampa si delinea come la fase in cui la menzogna diventa una vera e propria necessità commerciale. Il metodo più in uso fu quello che consisteva nell' 'attualizzare' la notizia, cambiando semplicemente la data nel frontespizio della ristampa in corso. In tal modo i "prodigii portentosi", osservati da un gruppo di frati cappuccini "in vari luoghi" durante l'anno 1664, diventano gli stessi che si fa credere siano avvenuti "nella provincia di Stiria" nel 1676 e, ancor più tardi, nel 1681.
Sulla base di un "raguaglio" circa il "vento terribilissimo, qui chiamato Bissa Bova", che aveva funestato le aree confinanti a nord col dominio veneto nel 1679, l'erede del ferrarese Bernardino Pomatelli stampò, probabilmente nel 1729, un resoconto molto simile a proposito dei danni provocati da "una bissabova, overo teremotto" che aveva colpito l' "inclita città di Venezia". Ancora più evidenti sono le contraffazioni che fanno rivivere la medesima vicenda in personaggi e in anni diversi. Talvolta veniva usato lo schema di una sentenza, cambiando nel testo soltanto i nomi dei condannati: nella "distinta relazione della gran giustizia seguita...nelle città di Udine, Brescia, Bergamo e Salò" i nomi dei "delinquenti" sono chiaramente aggiunti con caratteri diversi entro finestrelle lasciate nella "forma" originaria. Accade inoltre il singolare fenomeno che permette a condannati suppliziati in città diverse, di potersi esprimere collettivamente in un "lamento", attraverso il quale si rivolgono al pubblico domandando perdono "sopra questo foglio, con le lacrime alli occhi".
Il "gentil uomo principalissimo" Pietro Nolo, giustiziato, si dice, a Milano nel 1609, diventò, presso la stamperia dei Peri nel 1686, Pietro Rulo e le sue gesta vennero ambientate in Abruzzo.
Le vicende mutavano pertanto nei nomi dei protagonisti, nelle date e nei luoghi in cui si svolgevano.
Il "crudelissimo et compassionevole caso" accaduto a Pavia nel 1586, secondo l'edizione perugina che Pietropaolo Orlando ristampava da una precedente edizione milanese, si svolse invece, per il bolognese Alessandro Benacci, nel 1587 a Tolosa, "in Francia".
Le "diaboliche gesta della perfida Isabella, che aveva ucciso i genitori per fuggire insieme all'innamorato avvenivano, secondo le versioni, a Malta, a Marsiglia e a Nizza. Nell'ultima, quella dei bolognesi Sassi, l'evento venne attualizzato al 1739.
La confusione in certi casi raggiunge livelli incredibili. È il caso di alcune relazioni, che nel tempo si compenetrano, mutuando elementi l'una dall'altra; la ricostruzione diventa un'impresa piuttosto complicata: nel riportare un esempio clamoroso di tale metodo di agglutinazione osserviamo che l'origine della vicenda sembra situarsi in una relazione datata 1670, tradotta dall'ungherese e stampata a Bologna da Francesco Maria Sarti, probabilmente nello stesso anno.
Vengono descritti diversi fatti prodigiosi accaduti "sopra la città di S. Giorgio nell'Ungheria superiore", tra i quali una battaglia nel cielo tra animali favolosi; la vignetta che illustra la relazione è di maniera.
Nel 1686, sempre a Bologna, Giacomo Monti stampò una relazione ampliata, contenente il resoconto dell'edizione del Sarti unito a quello di un "terribile et orrendo mostro" che si diceva agisse negli stessi luoghi e all'interno della stessa vicenda.
A queste due relazioni bisogna però accostarne una terza, stampata a Bologna nel 1715, che narrò di mostri e prodigi osservati ad "Andrinopoli", città della "Tracia", parecchio diversi dai precedenti. La filogenia è individuabile nell'illustrazione che raffigura la battaglia nel cielo degli animali favolosi, avvenuta in Ungheria, ma che non presenta riferimenti con il testo stampato.
Ma non è ancora tutto: dieci anni più tardi, la vicenda di Andrinopoli venne ristampata da un ignoto tipografo veneziano senza l'illustrazione, ma nel frontespizio si sottolineava che i "maravigliosi prodigii" erano avvenuti "nel regno di Svezia, nella città di Tracia", il quattro dicembre del 1725.
Considerando, inoltre, che elementi del testo ricorrono invariabilmente in tutte e quattro le relazioni, si ha la sensazione che il cerchio si chiuda, delineando un'unica leggenda che ha la struttura di un mosaico.
I 'trucchi' del meraviglioso non potevano certo incantare tutti: Giulio Cesare Croce si fece probabilmente interprete di sentimenti diffusi nei confronti di questa letteratura, scrivendo parodie di "avvisi" e burlandosi degli "ammirandi prodigii":

In Treviso è nato un fanciullo il quale è tanto lungo dal mezo del corpo in giù, quanto dal mezo in sù; e dicevano, se vuol mangiare bisogna ch'egli apra la bocca, onde molti concludono che non sia per campare se non sino alla morte.

In Pistoia, di là è giunto un pellegrino, il quale afferma esser passato sopra i più alti monti d'Italia e mai non aver incontrato una barca, ed è stato in un paese dove alla testa si dice capo, ed ha visto molt'altre cose meravigliose.

Resta il fatto che questa letteratura continuò a trovare un pubblico per molto tempo ancora. Ancora oggi, con stampi diversi, il meraviglioso viene proficuamente spacciato a dimostrazione che "il consumo della cultura di massa non lascia alcuna traccia": quando si finisce con una generazione, si può subito cominciare con quella successiva.
D'altra parte, quando i presentatori si rivolgono oggi al pubblico televisivo, non dicono sempre che si tratta di un "pubblico meraviglioso" ?



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